Negli ultimi tempi si parla sempre più spesso di negative SEO (o reverse SEO), ovvero l’insieme di tecniche messe in atto per danneggiare il posizionamento di uno o più siti della concorrenza all’interno delle SERP.
Attuando una serie di attività illecite – definite black hat, ovvero tecniche volte a ingannare i motori di ricerca e tentare di falsare così i risultati- si riesce (con estrema difficoltà) a mettere in cattiva luce i siti concorrenti e a scalare così i risultati sui motori di ricerca.

A nostro avviso le attività di ottimizzazione on-site e off-site di un sito web non possono che essere definite positive, quindi, parlare di negative SEO ci appare piuttosto strano (l’idea che risiede alla base della negative SEO si rivela una vera e propria scelta di campo, rinunciare a migliorare il proprio sito e preferire il “lato oscuro” dell’ottimizzazione), è come dire lo zucchero è salato o il sale è dolce.

Tuttavia è una tematica della quale, come sopra indicato, si parla diffusamente perché di fatto spaventa l’idea che qualcuno possa attuare e riuscire ad attuare una serie di interventi off-site e poi segnalarci a Google.
Prima di tutto è bene sottolineare che non è affatto semplice fare negative SEO nel 2014 e questo perché, ad esempio, Google ha attivato un utile strumento, disavow tool, che consente di poter gestire e quindi eliminare i backlink dannosi.
Inoltre il più recente aggiornamento dell’algoritmo ha fatto si che venisse penalizzata la generazione di anchor text eccessivamente keyword-centrici, quegli stessi anchor text che generalmente vengono usati nelle attività di SEO al negativo. Infine il software di analisi dei link utilizzato dal team Google è diventato molto più sofisticato e preciso e soprattutto sarà potenziata la comunicazione con i webmaster dei siti web violati.
Al netto di tutte queste considerazioni sulla negative SEO è bene comunque fornire alcuni dettagli:

  • tecniche di negative SEO;
  • monitorare i backlink;
  • usare il Disavow Links Tool;
  • difendere la brand reputation;
  • conclusioni.

Le tecniche adottate nel mondo della negative SEO

Ci sono varie tecniche molto diverse tra loro.
Tra le più comuni troviamo gli attacchi e l’invio di malware e virus, o attività di injection. In questi casi, chi vuol attaccare un concorrente cerca delle vulnerabilità nella sicurezza del sito rivale (nei login FTP) e spedisce dei virus all’interno della piattaforma. L’obiettivo è fare al sito un’ “iniezione” massiccia di spam per creare delle modifiche importanti. Un esempio classico è la modifica del file robots per bloccare gli spider di Google; questo naturalmente impedisce ai motori di ricerca di accedere a determinate risorse e il sito tenderà di conseguenza a scendere nelle SERP.

Un altro strumento che i negative SEO utilizzano per scalfire (o penalizzare pesantemente i concorrenti) è lo spam reporting di Google.
In questi casi, si attua una strategia per manipolare la link building (ovvero quel lavoro di relazioni e contatti online solitamente coltivati nel tempo per acquisire in modo naturale e spontaneo link da altri siti a tema), che consiste nel comprare (o inserire in blog e forum poco meritevoli) un mucchio di link di bassa qualità che puntino tutti al sito della concorrenza.
Una volta alterata (in modo negativo) la link building, chi ha fatto negative SEO procede poi alla segnalazione di questi link spammosi attraverso il report spam di Google di Google Webmaster Tool.

Esistono poi una serie di altre tecniche, sempre meno usate, perché ormai poco efficaci, che spesso consentono di avere dei risultati positivi per un periodo di tempo più o meno breve, per poi perdere improvvisamente d’efficacia.

  • Testo nascosto: si tratta di una lista di parole chiave scritte utilizzando lo stesso colore del colore di sfondo del sito, con l’obiettivo di attirare gli spider del motore di ricerca e raggiungere un buon posizionamento. Un altro metodo per inserire del testo nascosto consiste nel posizionarlo fuori dallo schermo o in un div invisibile.
  • Keyword stuffing: consiste nell’aumentare, all’interno di un testo, il numero di parole chiave per le quali si intende posizionare quella pagina.
  • Pagine doorway: si tratta di pagine che non sono pensate per l’utente, non hanno un vero e proprio contenuto, non contengono informazioni ma sono state create con il solo obiettivo di essere indicizzate e spingere così altre pagine interne al sito.
  • Cloaking: si tratta di una pagina creata appositamente per il motore di ricerca, diversa da quella che viene vista dall’utente. Nella pratica, lo spider del motore di ricerca evidenzia uno script che mostra una pagina diversa rispetto a quella originale.

Queste tecniche vengono inevitabilmente scoperte e puntualmente punite dai motori di ricerca. In breve, gli sforzi e le attività messe in campo per battere la concorrenza rischiano di rivelarsi un boomerang o – nella migliore delle ipotesi – una grande perdita di tempo, energia e soprattutto denaro.

Monitorare i backlink contro l’effetto Penguin

Penguin, come detto,  è il più recente aggiornamento dell’algoritmo di Google che ha portato a penalizzazioni per i siti che hanno fatto un uso indiscriminato del link building, affidandosi a siti a dir poco discutibili.
Come Google spesso ripete, suo obiettivo principale è restituire agli utenti risultati di qualità, il più naturali possibile. Va da sé che acquistare i backlink non è un procedimento naturale, ancor meno lo è inserirli in contenuti non coerenti con il sito di destinazione, peggio ancora è entrare nelle cosiddette link farm.

Sapendo tutto ciò, che tiene al proprio posizionamento e vuole ottimizzare il proprio sito web evita tutte queste tecniche, ma se qualcun altro le applica per noi?
In questo caso si è di fronte a una delle molte applicazioni del negative SEO.

Google, e gli altri motori di ricerca, non sanno chi ha acquistato i link. Chi vuole fare un torto a un suo concorrente potrebbe benissimo creare una rete di backlink nocivi, inserendolo in siti di pessima qualità e pessima fama e addirittura arrivare a far associare il sito web ad argomenti del tutto estranei (siti pornografici, giochi d’azzardo…).
Discorso molto simile è quello che riguarda il cosiddetto Google Bowling, si acquistano dei link site-wide, cioè i link che si trovano a fondo pagina di siti di grosse dimensioni.
In questo modo si possono ottenere migliaia di backlink in una sola volta, backlink che porteranno il sito linkato all’esclusione dall’indice di Google perché considerato altamente spammoso.
Monitorando costantemente i backlink ci si può difendere dalla negative SEO.

In particolare si deve fare attenzione a:

  • Link che vengono dai “cattivi vicini”, soprattutto se siti di gioco d’azzardo, pornografici o altri argomenti al limite della leceità;
  • Link da siti in lingua diversa da quella in cui è scritto il sito;
  • Link inseriti in pagine che sembrano realizzate solo per contenere spam;
  • Link che si trovano in pagine con più di 50 link nel body;
  • Link che si trovano in pagine segnalate dal browser come affette da malware.

Il Disavow Links Tool

Google ha messo a disposizione di web master e SEO questo tool che permette, tramite richiesta, di rifiutare link in entrata verso il sito per il quale si sta svolgendo attività di marketing online o quantomeno una gestione del portale stesso, mantenimento e monitoraggio che non possono non considerare i backlink ricevuti.
Con Disavow Links Tool, strumento legato a Webmaster Tool di Google, è possibile inoltrare una richiesta a Google per chiedere che i link ritenuti di scarsa qualità o addirittura spam vengano rimossi.
Matt Cutts stesso consiglia più volte nel video di presentazione ufficiale di non usarlo a tutti costi,  è uno strumento in più per la gestione dei backlink ma la via migliore è sempre quella di eliminare direttamente i link in entrata contattando i web master dei portali dai quali non ci interessa più ricevere link.
Non sempre però si riceve risposta e, in questo caso, Disavow si rivela molto utile in quanto permetterà al consulente web marketing di gestire, fra le altre cose, la negative SEO, tecnica con la quale i competitor, o chi ne gestisce le attività, provano a far perdere i posizionamenti ottenuti sulla SERP attraverso la costruzione di una serie di link negativi (siti spam, link con anchor text negativo associato al brand, …).

Difendere la propria reputazione online dalla SEO negativa

Essere online non è sufficiente per ottenere visite, è necessario infatti essere ben visibili (e qui entrano in gioco attività come la SEO e il Social Media Marketing) ed accertarsi che questa visibilità sia di qualità ovvero che si parli in maniera positiva di chi siamo e di ciò che offriamo/vendiamo. È riguardo questo ultimo aspetto che si parla di Brand Reputation , per conoscerla si monitorano ( Brand Monitoring) le voci che circolano sul web circa un marchio, un’azienda, dei prodotti.

Il sito ufficiale di un Brand non è l’unico posto in cui gli utenti cercheranno online informazioni per documentarsi prima di un eventuale acquisto. La rete è piena di piattaforme che ospitano recensioni e spronano gli utenti a confrontarsi e fornire il proprio parere e raccontare le proprie esperienze su prodotti e aziende (pensiamo ad esempio a blog, forum, social network, siti comparativi…) e, cosa più importante, sono proprio queste le informazioni che vengono prese in grande considerazione prima di affidarsi ad un servizio e per valutare offerte simili tra loro.
Una volta compresa l’importanza della Brand Reputation è chiaro che poter monitorare cosa si dice online a proposito di un marchio diventa parte integrante di una buona e completa attività di web marketing e questo si fa, appunto, con la Brand Monitoring.

Una cattiva reputazione online può dipendere effettivamente da un cattivo servizio e dall’insoddisfazione dei clienti che forniscono recensioni negative. In questo caso è bene prendere in considerazione le critiche per migliorarsi seppur lavorando contemporaneamente per ristabilire una reputazione positiva attraverso i diversi strumenti che offrono la SEO e, in generale, il web marketing.

A volte la cattiva reputazione di un Brand può nascere a causa di un’ attività SEO contraria, una SEO negativa attuata ai danni della nostra immagine da siti competitor. Come comportarsi in questi casi? Sicuramente contrastando l’attività SEO negativa con una positiva per restituire valore e visibilità alle buone recensioni, utilizzando gli strumenti sopra indicati.

Conclusioni

In sostanza, per battere la concorrenza, consigliamo di lasciar perdere qualsiasi ipotesi di negative SEO, per concentrarsi sulle attività da pianificare e mettere in pratica per migliorare i contenuti, i link e le prestazioni del sito che vogliamo promuovere e far salire nelle SERP.
Ma c’è di più, perché la nostra idea di web fa rima con condivisione e correttezza.

Il web è nato per diffondere conoscenza e risorse valide. Pertanto, tutti coloro che lavorano nel mondo di internet dovrebbero impegnarsi per rendere la rete un posto migliore e non un luogo in cui fare spam a scapito della concorrenza. Chi possiede o lavora per migliorare la visibilità di un sito web dovrebbe produrre contenuti di valore, diffonderli in rete, alimentare con fantasia e in modo stimolante le conversazioni sui social network, evidenziare i plus dei servizi per attirare nuovi link e commenti positivi. E non combattere in modo sleale la concorrenza.

Contatti, indirizzo, competenze, offerte, partnership, immagini, reputazione, l’azienda. L’azienda deve essere in Rete. Avere un sito, dei social e essere in grado di farli trovare e funzionare al meglio.
Non ci sono alternative? Sembra di no.
Probabilmente nulla è possibile oggi per l’impresa senza il web.